Perché è cosi difficile accettare di fallire?

by Liana Zanfrisco

Perché è cosi difficile accettare di fallire?

 

In terza elementare sulla pagella del primo trimestre presi “sei” in storia e geografia. Non sapevo ripetere. Alla vista del “sei” mi cade il mondo addosso. Il fallimento si scatenò in me come un fuoco. Ritornai a casa arrabbiatissima. Lungo la strada, le mie compagne non riuscivano a tenermi il passo, allora si andava a scuola a piedi e tutti insieme. Avevo solo otto anni e non ci pensavo proprio a nascondere il mio fallimento agli altri. Anzi, in quella processione verso casa, io in testa con la pagella in mano e tutte le mie amiche dietro, senza volerlo, stavo celebrando la sconfitta.

Cadere, inciampare, perdere, fallire, fa parte della mia infanzia.

Durante l’infanzia, però, era normale cadere.
Soltanto più tardi, inciampare è diventato imbarazzante.

Fallire può significare anche:

  • Essere bocciata/o a un esame (due volte quello di guida).
  • Una relazione che va in pezzi e non hai più vent’anni e nemmeno trenta… vabbè lasciamo stare.
  • Abbandonare un progetto (un disegno al giorno per 365 giorni) …questa ferita sanguina ancora.
  • Scappare dalla palestra senza riuscire a finire la prima lezione di Flamenco perché tutti gli altri sembrano più bravi di te…(fortemente autobiografico). 

Il fallimento per me è cosa quotidiana.

Riflettendo sui miei fallimenti mi sono ricordata dell’articolo di Caroline Buijs, che ho letto su Flow magazine versione tedesca, qualche mese fa.

Nell’articolo di Caroline, appare subito chiaro che:

fallire da bambini e fallire da grandi non è la stessa cosa.

In generale i BAMBINI vanno fieri delle loro ferite, io perlomeno sono sempre andata molto fiera delle mie.

In questa fase della nostra vita ci appare ancora chiaro che “l’esistenza è un Processo e non uno Stato”.

Da bambini veniamo continuamente incoraggiati a sbagliare. Questa fase della vita è caratterizzata da tre azioni imprescindibili quali:
sperimentare, inciampare, imparare.

Nell’infanzia impariamo a camminare proprio attraverso le cadute.
Nella pubertà, scopriamo quali sono le relazioni che fanno per noi, solo attraverso esperienze a volte molto dolorose di amicizie e amori difficili.

Fallire da grandi

Da grandi le sensazioni che accompagnano un fallimento possono essere:
Il fastidio, l’imbarazzo e la vergogna.

La vergogna è però  il sentimento più devastante.

Ma perché da adulti ci riesce così difficile considerare i fallimenti parte della nostra crescita?

Antje Gardyan esperta del settore lo spiega così:

  • Da grandi siamo in una fase della nostra vita nella quale vogliamo conservare quello che abbiamo e quello che sappiamo fare.
  • Da grandi vogliamo solo raccogliere i frutti.
  • Da grandi vogliamo consideraci arrivati.
  • Da grandi sicuramente dobbiamo esserci già sistemati da un pezzo.

Con queste belle convinzioni in testa, in caso di fallimento :

o scappiamo o lottiamo.

Scappiamo quando:

  • Tendiamo ad archiviare il fallimento abbastanza velocemente.
  • Ci consoliamo con una tavoletta di cioccolata, raggomitolati sul divano.
  • Guardiamo la televisione per dimenticare.
  • Nascondiamo il fallimento agli altri, per lo più ai nostri familiari o agli amici.
  • Nascondiamo il fallimento a noi stessi.
  • In casi molto gravi, ci colpevolizziamo pur di salvare l’immagine ideale di chi ci ha ferito o causato il fallimento.

Lottiamo quando:

  • Ci difendiamo.
  • Ci giustifichiamo.

… e poi c’è una terza reazione:

fallire: una donna tigre e una donna che mostra una busta rotta

Lo stratagemma della storia conclusiva

Di solito, spiega la ricercatrice americana Brené Brown, siamo capaci di costruirci in tempo record una storia conclusiva con la quale tentiamo di comprendere e giustificare ciò che ci è accaduto.

Facci caso, le storie di fallimenti hanno sempre un inizio (“Improvvisamente ho perso il lavoro.” ), (“Improvvisamente mi ha lasciato.”) e una fine (“Oggi sono felice di aver preso un’altra strada”), (“E’ stato meglio così, perché poi ho incontrato l’anima gemella…)

Pare che il nostro cervello cominci a tranquillizzarsi soltanto dopo aver trovato una storia convincente. Come autoprotezione può essere pure comprensivo. Però dobbiamo sapere che storie del genere fanno acqua da tutte le parti. Spesso le abbiamo sentite dire e ci sono piaciute. Sicuramente ci piacciono perché non hanno il sapore della sconfitta.

Ma quali sono le soluzioni per imparare dal fallimento e accettare che le cadute facciano parte di ogni fase della nostra vita?

La soluzione più ovvia:

  • Riflettere sull’accaduto: “Così non posso continuare, devo cambiare qualcosa.” 
    Questa riflessione va bene soltanto se è profonda e arriva a scoprire l’inghippo.

La più dolorosa:

  • Riconoscere in noi quella sensazione sgradevole indissolubilmente legata al fallimento.
    Sentire il dolore fisico causato dalla sconfitta.

Culturalmente faticosa:

  • Permettere a noi stessi di fallire.

Alcune azioni molto imbarazzanti ma necessarie.

  • Concedere agli altri di sbirciare nei nostri fallimenti, condividerli.
  • Parlare apertamente di come ci siamo sentiti nei momenti più difficili. Nei giorni e nelle settimane in cui il vecchio era sparito e il nuovo non era ancora cominciato.
  • Parlare apertamente di quanto tempo è durata la crisi e di quanto tempo abbiamo impiegato a raccogliere i cocci e andare avanti. 
    Colmare il vuoto tra la fine di una storia di fallimento e l’inizio di un periodo nuovo.
  • Prendersi tempo per elaborare la sconfitta per chiudere con il passato e ricominciare.
  • Ma soprattutto abbandonare la convinzione comune che c’è un’età per sistemarsi, una per arrivare, una per raccogliere i frutti e a questo punto una pure per tirare i remi in barca.

Possiamo accettare il fallimento soltanto quando abbandoniamo le convinzioni comuni su ciò che debba essere una vita riuscita, o ciò che teoricamente appartiene a una precisa fase della vita.

A questo punto ti racconto la storia del mio ultimo  fallimento imprenditoriale

Dopo aver rinunciato un incarico scolastico importante decido di dedicarmi completamente al mio grande sogno. Lavorare in proprio.
Realizzare una piattaforma su Internet per far conoscere in mio lavoro artistico, realizzare lezioni d’arte e molto altro.
Mi iscrivo ad un corso  per imparare a mettere in piedi un’attività di successo in rete. Dopo 8 settimane di corso, che seguo con passione, il mio blog è in linea e un discreto numero di persone comincia a seguirmi.
A questo punto io che faccio?
– Parto con un nuovo progetto artistico. Un disegno al giorno per un anno. Su Instagram puoi vedere la raccolta di questi lavori.
– Seguo le lezione di Etsy per poter aprire un negozio anche su questa piattaforma.
– Realizzo dei video mentre disegno perché credo siano più efficaci per lanciare il mio blog.
– Seguo un corso d’inglese, perché anche le lingue sono importanti…
…e poi… poi mi blocco!

Insomma il mio progetto appena decollato rischia di andare in frantumi: fallire. Ammetterlo mi procura quel disgustoso senso di vergogna di cui parlavo al principio, ammetterlo significa ammettere di aver perso un anno di lavoro, di aver perso un’entrata economica sicura per aver rinunciato all’incarico scolastico.

Il mio primo grande errore è stato 1. Non avere chiaro i passi intermedi. Pensavo solo alla meta finale. 2. Il perfezionismo. Volevo essere perfetta. Per questo ho cominciato ad inzeppare il mio progetto di tante attività che non riuscivo a gestire. 3. L’ansia. Volevo riuscire a tutti i costi. Volevo raccogliere i frutti. Proprio quelli di cui parlo all’inizio di questo articolo.

So bene che le sconfitte rappresentano una chance per il nostro sviluppo.  Ma non riesco proprio a digerire il fatto di dover fallire.

Anche adesso, alla luce di queste riflessioni mi riesce un po’ difficile vedere nel fallimento qualcosa di positivo.

E se anche tu  continui a provare quel misto di vergogna e imbarazzo difronte a una sconfitta sappi che

L’antitodo all’imbarazzo è l’empatia.” Brené Brown.

Attenzione però: provare compassione per se stessi, non significa pensare: “Mi faccio pena.”
Si tratta invece di concedersi ogni tanto la libertà di sbagliare.

Io ci provo!

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2 comments

Stefania 23/09/2017 - 16:12

Carissima Liana,
come tutti i tuoi articoli li leggo d’un fiato e mi sento in perfetta empatia con te!
La cosa che mi ha sempre fatto rabbia è che guardandomi intorno, osservando il lavoro di altri artisti ho sempre pensato che anche tu potevi essere uno di loro e non perchè sei mia sorella e ti voglio bene, ma perchè le tue opere esprimono i sentimenti, i fallimenti, i desideri, le sconfitte e le speranze sopratutto di noi donne e lo fai con una sensibilità non comune! Tutto questo per dirti che io Credo nei tuoi sogni e nella possibilità, anzi nella certezza che prima o poi si avvereranno!
Anch’io tante volte mi sento di aver fallito come donna perchè non sono riuscita a dare a mio figlio la famiglia che avevo sognato o a trovare un compagno con il quale condividere la mia vita, ma non penso di essere arrivata o di dover tirare i remi in barca perchè posso ancora coronare il mio sogno o riversare tutto l’Amore che ho dentro nelle persone e nelle cose che Amo!

Stefania

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Liana Zanfrisco 04/11/2017 - 17:45

Dai, lo so, scrivi così perché sei mia sorella.
… Quest’anno sulla prima pagina della mia agenda ho cominciato a fare una lista, il titolo: Alleati sinceri.
Ognuno di noi, credo, ha bisogno di sapere chi sono i suoi alleati e quanti sono, non devono essere molti ma è importante che ci siano e che siano soprattutto SINCERI. Tu sei in cima alla lista.
Per quanto riguarda gli artisti… siamo in tanti ed è difficile uscire fuori dall’anonimato, emergere dalla mischia. E’ pur vero però che ognuno di noi ha una vocazione ed è il motivo per cui siamo qui. A prescindere dal successo e dalla notorietà che possiamo ottenere, abbiamo tutti il dovere e il compito di vivere la nostra vocazione fino in fondo.

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